Sbatto le grosse porte di legno
sgusciate dal tempo
e chiudo con doppia mandata
la serratura del cuore.
Solo il rumore degli ingranaggi ferrosi e incespicanti
colmano l’assenza di cui io e la stanza viviamo.
Sono chiuso qui ora
dove tutto è immobile e impolverato,
dove la tenda è ferma sul raggio di luce che illumina il fuoco del mio sguardo.
Qui ho, quello che lì fuori non ho.
C’è aria opaca, ferma,
il vuoto è un recipiente da colmare con un pensiero che ne vale,
l’arredo è essenziale,
la gente fuori passa e mormora che io stia male, mi debba far curare.
Parlare, parlare, non ha importanza,
ascoltare nemmeno,
percepire, assume rilievo,
nella stanza dove il tempo non esiste
non modifica le cose,
lì, da non so quanto.
Tutto riesce a convivere:
euforia e malinconia,
solitudine e moltitudine,
amore e tradimento,
gioia e tristezza,
ordine e disordine,
l’ansia e la calma della prospettiva,
i miei tre me,
nella stanza dove a nessuno devo spiegare il perchè,
per chiudermi, una fedele ed ermetica serratura del cuore, c’è.
Vorrei partecipare al vostro banchetto leggero e spensierato
e stare fuori con voi, ma poi credimi,
so che sfonderei per qui rientrare.