Imbranato

Lui ride dentro un bar,

alza il bicchiere,

ammicca alla giovane donna e profuma,

dio, se profuma.

La brillantina è perfetta e il vestito è ben stirato.

Che distanza nella stessa stanza.

Io sono spettinato, distratto, ubriaco e come dici tu:

imbranato…

cavolo, se sono imbranato,

tanto, che non so ammiccare,

tanto, che non so mai dove andare,

tanto, che non ho, come fa lui, anche se banale,

una storia da raccontare.

Qui il bar misurerà tre metri per cinque,

qui il bar, è un qui ben definito.

Qui, io, son già perso

è un labirinto di parole e musiche che portano via

in una via senza via, entra dentro.

Vorrei, vorrei, vorrei,

vorrei far parte dei vostri discorsi,

per distrarmi e tradirmi,

così, lì, al bancone,

qui, in questo angolo di mondo,

eppure ricordo quel tuo dannato profumo e mi confondo.

Non sono capace di essere altro,

sono io, anche se povero di contenuti.

Non voglio essere se non ci sono.

Non voglio avere senza poter tenere.

Tremo, balbetto e non ho mai deciso

a volte, mi chiedo se son vivo.

Il tempo è passato anche stanotte,

io ti ho solo pensato, mi bastava.

Lui continua a ridere e racconta ancora, ben pettinato, la sua vecchia storia.

Non so come faccia.

Bevo l’ennesimo gin

cercando di non annegarci dentro.

Mi sono sporcato la mia camicia migliore,

era bianca, ora ha due chiazze sul cuore

da tempo delicato.

Quanto hai ragione,

che imbranato.

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